martedì, agosto 22, 2006

Un filo rosso di destrutturazione causa disagio

Corriere della Sera - Forum

Una Giulietta dei nostri tempi

Mi ha colpito il silenzio del nostro forum (Genitori e figli!), solitamente vigile e attento, sulla vicenda della ragazza pakistana, uccisa per ‘motivi d’onore’ e/o religiosi.
Il ritrovamento della giovane assassinata e sepolta nell’orto della sua casa nel bresciano dimostra una volta di più il volto distruttivo e omicida del fanatismo. Non c’è giustificazione di alcun tipo, tantomeno religioso, per crimini come questo e mi auguro che i responsabili siano individuati e puniti.
Non ci sarà forse uno Shakespeare a raccontare le vicende tragiche di questa giovane, Giulietta dei nostri giorni, il suo amore contrastato con un giovane di diversa religione e diversa cultura, l’inesorabile esecuzione ad opera dei maschi della famiglia per riparare l’onore macchiato da una donna che si è resa responsabile del più grave dei reatii: ritenere di dovere decidere lei di chi innamorarsi e con chi vivere.
In mancanza di Shakespeare oggi dobbiamo accontentarci di ascoltare quasi esclusivamente le voci di chi prende spunto da questa e altre inaccettabili violenze per portare l’acqua al mulino della xenofobia. “Abbiamo il diritto di difenderci da questi barbari”, si dice, facendo di tutt’erba un fascio e dimenticando che tanti di questi ‘barbari’ lavorano e vivono onestamente e che l’immigrazione è un’importante risorsa economica e culturale per tutti noi. E’ vero, però, che alcune versioni delle religioni da loro praticate presentano aspetti per noi inammissibili e che la libertà di religione non va confusa con la tolleranza di usi, costumi e pratiche, di cui sono vittime soprattutto le donne, che contrastano con la nostra Costituzione. Vivendo tra noi e con noi, gli immigrati devono rispettare le leggi del nostro Stato che devono valere per chiunque, a qualunque titolo, sia presente nel territorio nazionale. A nessuno deve essere consentito di riportare indietro di secoli in nostro Paese cancellando conquiste costate alle donne un prezzo altissimo.
Forse, più che di una fede, rassicurante quanto si vuole ma troppo spesso usata per distinguerci dagli infedeli e per combatterli se non li può convertire, tutti noi abbiamo bisogno di ritrovare il senso del sacro e del rispetto nei confronti di ogni vita. Cosa ha a che fare tutto questo con l’umiliazione, la violenza, l’assoggettamento della donna? Cosa ha a che fare con una ragazza innamorata, assassinata in nome dell’onore e della fede?
E pensare che l’Italia, soprattutto a Milano e a Napoli, è stata una delle culle dell’Illuminismo e già oltre due secoli fa c’erano illustri italiani che difendevano strenuamente la tolleranza in campo religioso ma, nello stesso tempo, criticava aspramente ogni forma di fanatismo religioso il cui frutto avvelenato era allora, ed è oggi, l’intolleranza, la violenza, la guerra.

Scaparro 2006-08-19 10:49

Hina ed Elena e la sacralità della vita

Filed under: Bioetica

di Paolo Ferliga

Hina Saleem Elena LonatiHina ed Elena, due ragazze poco più che ventenni uccise nella nostra città negli ultimi dieci giorni. Angoscia e dolore si confondono dentro di noi con rabbia, desiderio di giustizia e un sempre più diffuso senso di impotenza. Due giovani donne che percorrevano, per quanto ci è dato sapere, due strade opposte. Hina viveva come emancipazione dalle regole tribali, impersonate da un padre-padrone, l’adesione ai modelli di comportamento prevalenti in Occidente. Un sogno di riscatto e di realizzazione personale la guidava. Elena uccisa in una chiesa, dove si era recata per accendere una candela e pregare, conservando una tradizione religiosa e un senso della spiritualità tipici della nostra cultura. Tutte e due con la vita spezzata da due uomini. Due uomini, due esempi di debolezza dell’istinto maschile che quanto più è malato e trascurato, tanto più si riveste di una maschera sadica, violenta e talvolta mortifera. Un padre che non è tale, perché non onora il principio naturale e nello stesso tempo spirituale, che lo vede sempre, in tutte le culture, portatore di vita. Che sostituisce alla sua funzione di iniziatore alla vita, quella di rigido cerimoniere di regole astratte, estranee, come scrivono ieri al giornale alcuni giovani pakistani, alla sua stessa “comunità” di appartenenza. Un giovane coetaneo che svolgeva in quella chiesa la funzione di sagrestano. Due stranieri, anche loro su due strade opposte. Il primo rigido tradizionalista, il secondo sembra avesse abbracciato la nostra religione.
Sappiamo bene che non solo gli stranieri commettono delitti, ma il fatto che i due assassini siano stranieri inquieta maggiormente. Dal punto di vista psicologico infatti, lo straniero è l’altro dentro di noi , una figura d’Ombra come direbbe C. G. Jung, che spesso compare nei sogni e con la quale è indispensabile fare i conti se si vuole conseguire un buon equilibrio psicologico. Ciò vale anche per la comunità. Al di là della sterile contrapposizione tra chi li vorrebbe tutti fuori e chi li accoglierebbe a braccia aperte, gli stranieri hanno sempre posto, quanto meno dai Greci, dei problemi alla comunità che li accoglie. La loro presenza è infatti indispensabile, in certi casi, perché una società si trasformi aprendosi al nuovo, ma nello stesso tempo rischia di diventare distruttiva se non sono chiare le ragioni di fondo che guidano i flussi migratori. Non tutti gli stranieri sono uguali ed è allora indispensabile sapere quali strumenti abbiamo per fare delle verifiche, per sapere ad esempio se possono davvero accettare i valori della nostra carta costituzionale?
In comune con gli omicidi in famiglia, che le statistiche ci dicono essere in crescita e le cui cause vengono rubricate come liti, dissapori o futili motivi, questi due episodi appaiono senza scopo e senza alcun significato. Parenti stretti della follia che, paradossalmente, sembra sempre più diffusa nell’epoca della razionalizzazione e dello sviluppo massimo della tecnica. Un’epoca in cui il moltiplicarsi delle possibilità di comunicazione non riesce a riempire il vuoto lasciato dalla sempre più marcata assenza di scambi affettivi, fondati sul riconoscimento dell’altro come persona e su un ordine di valori che fa riferimento alla sacralità della vita.

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22/8/2006
PASSIGNANO SUL TRASIMENO. Lo ha ucciso, sgozzandolo con un coltello da cucina, per colpire la donna che lo aveva lasciato. Tommaso, nove anni, figlio unico di una coppia di genitori separati, ha pagato il prezzo della follia dell'amore. Suo padre, Johnny Bruscia, un carrozziere di 38 anni, lo ha prima portato dal nonno a casa del quale entrambi hanno consumato il loro ultimo pasto e poi lo ha riaccompagnato a casa. Lì, nella villetta bifamiliare sulle sponde del lago Trasimeno dove fino a un anno fa la famiglia Bruscia era ancora una famiglia unita, si è consumata la tragedia.

Ha condotto il figlio in quella che era stata la sua camera matrimoniale e gli ha puntato il coltello alla gola recidendogli la giugulare. Lo ha lasciato così, riverso sul pavimento, agonizzante. La morte per dissanguamento è sopraggiunta più tardi, quasi contemporaneamente a quella del padre. Dopo aver ucciso il suo bambino ha chiuso a chiave la porta di casa ed è salito in auto. Ha messo in moto la Porsche grigia e si è diretto verso il più vicino passaggio a livello con l'intenzione di farsi travolgere dal treno in corsa. Ha trovato le barriere chiuse, ha abbandonato l'auto e si è incamminato sui binari.

Il treno è arrivato verso le 14: il macchinista alla guida del treno proveniente da Terontola e diretto a Foligno se lo è trovato disteso sui binari. Pur tentando una frenata d'emergenza, il ferroviere non è tuttavia riuscito a evitare l'uomo, stritolato dal convoglio e trascinato per circa duecento metri. Un omicidio-suicidio che ha gettato nello sgomento la piccola comunità di Passignano sul Trasimeno dove Johnny Bruscia lavorava nell'avviata officina del padre. I carabinieri del Comando Provinciale di Perugia hanno subito escluso l'ipotesi dell'incidente.

All'identità del suicida sono risaliti attraverso la targa dell'auto. Del corpo dell'uomo l'impatto con il treno ne aveva fatto scempio. Adelio Bruscia, padre e nonno di Johnny e Tommaso, ha saputo della morte del figlio dal comandante della stazione dei carabinieri di Passignano. E' stato lui a chiedere del bambino, del suo piccolo Tommaso. E' stato lui a consegnare agli investigatori le chiavi della villetta del figlio dove Tommaso, giaceva esanime, i vestitini intrisi di sangue, sul pavimento della camera da letto dei suoi genitori.

E' ancora lui a non trovare le parole, ammesso che le parole ci siano. «Sono venuti a salutarmi stamattina», ha detto tra le lacrime. I singhiozzi gli impediscono di terminare la frase. Scuote la testa, come a dire no, non può essere vero. Non fa che ripetere la stessa ossessiva esclamazione. «Come avrei potuto immaginare...». No, Adelio Bruscia non poteva saperlo. Non lo poteva sapere nessuno che Johnny avrebbe posto fine alla sua vita e a quella di Tommaso. Una persona tranquilla, lo definiscono i conoscenti: un uomo riservato, apparentemente senza problemi particolari, tranne quella sofferta separazione dalla convivente e il desiderio di una nuova storia d' amore, da cercare, magari, in un paese lontano. Qualcuno racconta di una lieve depressione. Di recente si era anche allontanato per un po’ dal lavoro per un problema di salute non grave che lo aveva però costretto a subire un interevento chirurgico. Anche durante il pranzo di ieri dai nonni, non sarebbe successo nulla di particolare.

Si parla però di un futile battibecco di Johnny con sua madre, a proposito di una pietanza. A ripensarci adesso, un comportamento insolito per un giovane tranquillo come Johnny, che ancora oggi, durante quel pranzo - si racconta - era stato affettuoso come sempre con il figlio, chiedendogli un bacio.

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L’OMICIDA
QUALUNQUE

Massimo Gramellini

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QUALE filo unisce un bancario
in pensione, un carrozziere
depresso, il figlio di un affittacamere,
il sacrestano di una
parrocchia e il giovane amico di un
anziano pittore? Nessuno di loro era
un criminale di professione. Eppure
tutti e cinque hanno ucciso. In Italia,
fra domenica e lunedì, fra la
Lombardia e la Sardegna, in contesti
e ambienti incomparabilmente diversi.
Il pensionato ha sparato una
fucilata dalla finestra di casa all'uomo
che stava derubando la sua ex
banca: durante la fuga il bandito
aveva alzato gli occhi verso di lui,
temeva lo avesse riconosciuto. Il
depresso ha giustiziato il figlio bambino
come un vitello e poi se stesso
come Anna Karenina, sotto un treno.
Il figlio dell'affittacamere ha
decapitato un benzinaio cinese, accanendosi
sul cadavere: ai carabinieri
sembrava di essere finiti in unepisodio
di «Csi», il più sofisticato dei
telefilm che mostrano macelleria
umana. Il sacrestano avrebbe infilato
la vittima, una ragazza, nel sottoscala
di una chiesa: dentro sacchi di
plastica, con mani e piedi legati.
L'amico maghrebino del pittore lo
ha invece accoltellato nel suo appartamento:
pare si frequentassero.
Paura, vendetta, sesso, disperazione,
follia. Nonsono certo i moventi
il profilo inedito di questa esplosione
concentrata di violenza compiuta
da gente comune, diversa per età,
censo e razza, anche se non per
sesso: rigorosamente maschile. Nonostante
cinema e letteratura, si
pensi a «Lo straniero» di Camus, ci
abbiano sempre suggerito di dubitarne,
era più consolatorio illudersi che
presso le società cosiddette civili il
delitto facile fosse una categoria
confinabile al mondo della malavita.
Ma la cronaca di Ferragosto ci
rammenta come l'asticella emotiva
che un uomo deve superare per
uccidere sia più bassa di quel che si è
disposti comunemente a credere.
Non ancora ai livelli di quella di un
delinquente professionale, ma abbastanza
per tradurre gli impulsi distruttivi
in gesti senza ritorno.

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Quali sono le cause di questo disagio dilagante? Possiamo fare una riflessione?

Quanto ha pesato su queste morti il disorientamento dovuto alla compresenza di sistemi di valori completamente opposti, famiglia e divorzio, regole e libertinaggio, rispetto dei limiti e delirio di onnipotenza, identificazione con la tradizione della famiglia di origine e miraggio/paura della liberta' occidentale dove tutto e' concesso?

Quanto gli stessi problemi sono alla base dei drammi delle famiglie, spesso lacerate da separazioni al primo figlio, con madri e padri che non si rispettano e non sono solidali nel coeducare i figli o addirittura rifiutano o temono la loro condizione di madri uccidendo i propri figli o allontanando/soggiogando il genitore antagonista percepito come un nemico?

La perdita dei valori guida, di riferimento, che indirizzano e delimitano la deriva psichica umana, causa sia il disagio che la mancata accettazione del limite e del rispetto reciproco.

Marco Baldassari 22 ago 06

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"Il Segno del Padre - di Paolo Ferliga"

Nell’epoca moderna, da Amleto ai nostri giorni, l’immagine del padre, sia di quello terreno che di quello divino, si è sempre più sbiadita, tendendo a scomparire dalla vita della comunità e generando nei figli un vuoto spesso incolmabile. In un confronto serrato col pensiero di Jung, l’autore mostra come tale immagine sia stata, per nostra fortuna, sapientemente conservata dall’inconscio collettivo. Nei miti e nei sogni, ma anche nei testi sacri e nella poesia, è infatti possibile rintracciare l’archetipo del Padre, vera e propria immagine guida, in grado di aiutare uomini e donne a dare un senso al proprio destino.

Paolo Ferliga evidenzia a questo proposito come il contributo di Freud sul complesso di Edipo, possa essere accolto in una prospettiva archetipica. Simbolicamente il padre si presenta infatti come portatore di un segno caratteristico: la ferita, dolorosa ma indispensabile, perché i figli possano separarsi dal protetto mondo materno ed affrontare con coraggio ed entusiasmo la vita.

La presenza del padre, indispensabile fin dalla nascita accanto a quella della madre per lo sviluppo psichico e affettivo dei figli, diviene fondamentale nel corso dell’adolescenza, per iniziarli alla vita della comunità, al mondo dei valori e dello spirito.

Ma anche i figli sono importanti, come mostra la vicenda di Abramo e di Isacco, per la piena realizzazione di un uomo e si svelano spesso come il suo destino più autentico. Nel riconoscere il desiderio di essere padre ciascun uomo può infatti scoprire la gioia e la bellezza della vita.

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Come il femminismo ha danneggiato le donne

Da Libero, 7 luglio 2006

Nozze, figli, sesso.
Il femminismo ha ucciso le donne

Esce negli Usa una rivisitazione politicamente scorretta sui danni della rivoluzione sessuale

di Guglielmo Piombini

Il nuovo volume della fortunata serie di guide politicamente scorrette pubblicate dalla Regnery di Washington, The Politically Incorrect Guide to Women, Sex, and Feminism (pp. 221, $ 19,95) di Carrie L. Lukas, sta facendo scendere sul piede di guerra le attardate, ma sempre rumorose, vetero-femministe. L’autrice, trentaduenne opinionista del “National Review Online”, ritiene infatti che i movimenti per i diritti delle donne siano rimasti vittime del successo dei propri predecessori. Oggi le donne, scrive la Lukas, godono di una completa libertà di scelta riguardo l’istruzione, il lavoro o la famiglia, ma le femministe, invece di celebrare questi progressi, continuano a presentare le donne come vittime della discriminazione e a pretendere dallo Stato trattamenti privilegiati.

L'attacco alla vulgata femminista

L’obiettivo della Lukas è di aiutare le donne ad affrontare consapevolmente le scelte più importanti della propria vita, offrendo loro un’informazione più completa di quella diffusa dalla vulgata femminista politicamente corretta. Molte giovani ragazze, ad esempio, sono state indotte a credere che l’età per avere figli possa essere rinviata a lungo senza conseguenze. In realtà la fecondità femminile cala notevolmente dopo i trent’anni, ma quasi nove donne su dieci sovrastimano di cinque-dieci anni l’età in cui la fertilità inizia a diminuire. Il risultato è che molte donne si accorgono troppo tardi di non poter più avere il numero di figli desiderato. Un sondaggio svolto tra le quarantenni americane senza figli ha rivelato che solo per un quarto di loro si è trattata di una decisione intenzionale, mentre per tutte le altre la scelta ideale sarebbe stata di uno, due o addirittura tre figli.

Tra natura e cultura

Molte ricerche scientifiche riportate dalla Lukas, inoltre, dimostrano che gran parte delle differenze di comportamento tra uomo e donna non sono “socialmente costruite”, ma innate e biologiche. Per questo motivo le rivendicazioni femministe che cercano di forzare la natura femminile in ruoli non propri rischiano di creare infelicità nelle donne. La rivoluzione sessuale, ad esempio, ha peggiorato la condizione femminile, perché le donne hanno maggiori difficoltà a separare il sesso dall’amore, e spesso continuano a rammaricarsi, anche dopo anni, delle passate esperienze di sesso occasionale. Gli uomini, infatti, quando vogliono instaurare una relazione seria e duratura continuano a preferire le donne caste e fedeli. Il corteggiamento tradizionale osteggiato dalle femministe assolveva un’importante funzione, perché permetteva all’uomo e alla donna di scoprire le reciproche intenzioni. L’uomo, prendendo l’iniziativa del corteggiamento e sopportandone tutti i costi, dimostrava alla donna il proprio sincero interesse e di essere quindi disposto ad investire molte risorse nella relazione; la donna, facendo la difficile e non cedendo se non dopo una corte assidua, rassicurava l’uomo che, nella loro futura relazione, sarebbe stato quasi impossibile per altri uomini conquistarla. La danza del corteggiamento era dunque, in un linguaggio cifrato, una tacita promessa di fedeltà, cioè la miglior base per un matrimonio felice.

Le polemiche anti-matrimonio

La polemica delle femministe contro il matrimonio, accusato di essere un’istituzione patriarcale che intrappola la donna per tutta la vita, viene contraddetta da numerosi dati empirici, che dimostrano come le persone sposate godano di maggior ricchezza finanziaria, salute fisica, felicità mentale e persino di una vita sessuale più appagante rispetto a quelle single, divorziate, separate o che coabitano. Anche i figli cresciuti all’interno di una famiglia stabilmente sposata hanno meno problemi con la scuola, con la giustizia, con il sesso prematuro e con il consumo di droghe o alcolici. Le ricerche dimostrano inoltre che il divorzio raramente riesce a migliorare la situazione dei coniugi, e che viene sempre vissuto come un trauma dai figli.

Smontati i miti del femminismo

La Lukas demolisce anche l’idea secondo cui le donne guadagnano meno degli uomini perché discriminate nel mondo del lavoro. Se veramente le donne, a parità di rendimento, potessero essere pagate meno degli uomini, allora gli imprenditori che le assumessero otterrebbero degli enormi vantaggi competitivi. Il libero mercato, quindi, punirebbe immediatamente il comportamento economicamente irrazionale dei datori di lavoro “maschilisti”. In verità le donne spesso preferiscono non svolgere lavori che, anche se meglio pagati, comportano frequenti e prolungati spostamenti, orari non flessibili, dure fatiche oppure rischi elevati. Non è un caso che gli uomini siano vittime del 92 per cento degli infortuni mortali sul lavoro. I movimenti femministi, accusa infine la Lukas, sono diventati dei gruppi di pressione impegnati solo a chiedere sussidi e privilegi alla classe politica. Oggi negli Stati Uniti molte donne single con figli fanno a meno del coniuge e vivono con gli aiuti elargiti dal welfare state. Volendo liberare le donne dalla loro “subordinazione” al marito, le femministe hanno finito così per renderle dipendenti dallo “Zio Sam”. Ma la dipendenza dal governo è cosa ben diversa dall’indipendenza personale.

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La scomparsa dell'immagine materna

Eugenia Roccella

La scomparsa dell'immagine materna ha molte cause, ma è in primo luogo connessa al nuovo narcisismo femminile, molto incoraggiato e promosso dalla societá dei consumi. Non si tratta dell'onnipresente stereotipo della vanitá femminile, così a lungo coltivato dalla letteratura misogina, ma di un tassello fondamentale del processo di emancipazione. L'attenzione focalizzata su di sè, e finalmente sottratta al divorante ruolo familiare, ha costituito un passaggio necessario per scoprirsi individuo, liberarsi dallo schiacciante obbligo alla devozione, dalla mistica del sacrificio, dall'oblativitá coatta. Per la veritá, non è soltanto la figura materna ad essere uscita dalla circolazione, ma anche quella paterna, cioè l'immagine di una virilitá responsabile, protettiva verso i più deboli, conscia dei propri doveri sociali e privati. Un modello opposto a quello, sempre più diffuso, del machismo tutto bicipiti, pettorali e straordinarie performance erotiche, o a quello dell'eterno adolescente, tenero, sensibile e cucciolone (alternativa che le giornaliste di costume riassumono nell'interrogativo "macho o micio?").

Sia l'immagine materna che quella paterna sono, però, poco spendibili dal punto di vista del mercato, perchè dedite non soltanto all'ora e qui, ma alla costruzione del futuro, quindi a una certa sobrietá, al senso del limite, alla coscienza dell'impegno formativo, tutte qualitá che mal si conciliano con la moltiplicazione e l'esaudimento dei bisogni individuali. La cultura del narcisimo di massa ha inghiottito il modello sociale paterno e materno, lasciando ognuno solo con il proprio patrimonio culturale, in un tessuto di relazioni e appartenenze che spesso, soprattutto nelle grandi cittá, si è disintegrato. Siamo liberi di creare a nostro piacimento nuovi modelli genitoriali, come siamo liberi di mettere insieme gruppi familiari di tipo anomalo, convivenze sganciate dai legami di parentela, dalla procreazione, basate esclusivamente su patti personali.

Il risultato, dal punto di vista femminista, è molto contraddittorio. La maternitá, privata di ogni elemento socialmente gratificante, punita in moltissimi modi, resiste, legata com'è a insopprimibili bisogni, a una immaginazione segreta, a fortissime motivazioni inconsce e (ancora) corporee. L'ancoraggio del materno al corpo e alle sue proiezioni profonde fa sì che il rapporto madre-figlio sia forse l'unico davvero indissolubile della societá contemporanea. La maternitá (e lo testimonia la crisi di natalitá che affligge l'occidente) è però abbandonata a se stessa, in un deserto sociale e affettivo che impoverisce le donne sia dal punto di vista simbolico che da quello economico.

Alla crisi di identitá genitoriale la scienza fornisce risposte efficienti e riduzioniste, che tendono a delimitare al puro dato biologico (peraltro manipolabile) il significato dell'essere padre e madre: il padre è, alla fine, identificato con lo spermatozoo, la madre con l'ovulo. Ma se il dato biologico è quello primario [2] va ricordato che paternitá e maternitá hanno bisogno di collocarsi dentro una cultura, un tessuto sociale, una rete di riferimenti simbolici; non agiscono nel vuoto, non possono essere qualsiasi cosa l'individuo decida che siano. La paternitá, che da sempre è più incerta ed evanescente, soffre in modo grave della destrutturazione del ruolo sociale e simbolico, mentre la maternitá riesce ancora a trovare risorse profonde e autosufficienti. Ma le madri sono sempre più sole.

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Sono anni che, a livello internazionale, è in atto una rivoluzione terminologica, una meditata strategia delle parole che si articola in alcune riconoscibili modalità di intervento. In primo luogo, la manipolazione di tipo eufemistico, che parte dalle più classiche perifrasi del politicamente corretto, per scivolare allegramente nella censura; poi l’uso di un vocabolario tecnico, che serve a mascherare, dietro un’apparente asetticità, una precisa impostazione ideologica; infine c’è una tendenza esplicitamente programmatica, che diffonde un lessico di trasformazione concettuale.

L’uso di termini eufemistici punta a desensibilizzare le coscienze,
ma è talvolta così plateale da lasciare disarmati: per esempio l’Unfpa (l’agenzia dell’Onu per la popolazione), che nei campi profughi distribuiva un’attrezzatura chiamata "kit d’interruzione di gravidanza", con molto tatto ne ha cambiato il nome in "kit di emergenza per la salute riproduttiva", per evitare rifiuti pregiudiziali.
Questa tendenza alla cosmesi linguistica si limita a ritocchi di superficie, e non arriva al cuore dei concetti.

Tutt’altro effetto si ottiene con il vocabolario tecnico, volutamente neutro, che ha ormai soppiantato tutti i termini ritenuti troppo valoriali, troppo carichi di storia e di significati. Da tempo, per esempio, è bandita dai documenti Onu la parola maternità, se non dove è impossibile sostituirla. Nemmeno si parla più di procreazione, ma soltanto di salute riproduttiva o diritti riproduttivi, definizioni in cui l’aggettivo richiama la riproduzione dell’identico, quindi della specie, ed evita di alludere alla preziosa unicità dell’essere umano. Naturalmente anche "madre" e "padre" sono pressoché scomparsi, in favore di "genitorialità" o "progetto parentale", termini sessualmente neutri.

Alla tendenza che abbiamo definito programmatica appartiene la sostituzione (ormai a uno stadio di realizzazione molto avanzato) delle parole uomo e donna con "genere". In questo caso non si tratta solo di privilegiare la neutralità, ma di introdurre l’idea che l’identità sessuale sia una pura convenzione, tutta interna all’ambito della cultura, dunque fluttuante e modificabile, senza un fondamento necessario nella biologia e nel corpo.

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Così ha riassunto la Alberoni il contenuto del suo ultimo libro “La cacciata di Cristo”

Partendo dalle parole di Giovanni Paolo II secondo cui “la storia ha ampiamente dimostrato che fare guerra a Dio per estirparlo dal cuore degli uomini porta l’umanità impaurita e impoverita verso scelte che non hanno futuro” la scrittrice ha dimostrato come “l’illuminismo, il nazismo e il comunismo abbiano cercato di eliminare Dio, negare Cristo, legittimato la dittatura, cancellato gli individui e diffuso il paganesimo”.
“Non bisogna aspettare passivi e inerti la distruzione della civiltà cristiana, è giunto il momento per i credenti di alzare la testa, di parlare, di difendere i valori cristiani praticandoli, riconsacrandoli nei gesti, perché solo così si possono fronteggiare le sfide moderne”.
Circa il timore di parlare di Cristo, la Alberoni ha chiesto ai presenti “perché non si ha il coraggio di parlare apertamente di Cristo?”. “Cristo è l’innominato”, ha infatti osservato.
“Invece – ha concluso l’autrice de ‘La cacciata di Cristo’ – non si deve avere paura di parlare di civiltà cristiana, non semplicemente di civiltà occidentale, perché, caduto il sistema sovietico, siamo un unico popolo cristiano in Europa, Russia, Americhe, Australia e parte dell’Africa e dell’Asia”.
“negli ultimi decenni del XX secolo si era creato un certo ottimismo perché le grandi religioni atee, illuminismo, nazismo e comunismo, sembravano sconfitte, purtroppo però l’azione di destrutturazione dei fondamenti del cristianesimo continua in tutto il mondo”.
La Alberoni ha ricordato come parte di questa destrutturazione l’attacco contro la concezione della famiglia tramite la legalizzazione di divorzio e aborto, ed ha indicato nelle tecniche di manipolazione genetica degli embrioni la tentazione scientista di sostituirsi a Dio.
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Nel primo dei due saggi che costituiscono il libro — «I diritti dell'uomo: realtà e utopia» — Lucetta Scaraffia, docente di Storia contemporanea, sostiene che alle Nazioni Unite si è, negli ultimi decenni, radicata una visione dei diritti umani senza riferimenti alla superiorità del diritto naturale, come inteso dal cristianesimo e come sostenuto strenuamente oggi dalla Chiesa cattolica. Al suo posto, si è affermato un relativismo dal quale nasce una «fragilità dei diritti», ormai percepiti come autonomi da qualsiasi valore fondante capace di giudicarli e di metterli in discussione. Si è creato così un potere dei diritti umani astratti, senza un fine, che non ha la capacità ma nemmeno la pretesa di capire il mondo: «La fede dell'avvenire è rimpiazzata dall'indignazione», dalla «tirannia impotente dei buoni sentimenti», che non comprendono il mondo ma si costituiscono in «comoda ideologia consensuale» e in lobby di potere.

Per affermarsi, questa visione ha ovviamente dovuto fare le sue battaglie. E la principale, dice la Scaraffia, è quella contro il cristianesimo e la Chiesa, considerate la peggiore minaccia alle basi stesse di questo pensiero unico. Non direttamente attraverso lo scontro con il Papa o le gerarchie ma indirettamente, cercando di minarne le basi: in nome dei diritti umani, la famiglia viene attaccata; la libertà religiosa e il dialogo interreligioso sono indirizzati contro il cristianesimo; la «pianificazione demografica» assume un ruolo centrale; temi come la salute vengono affidati a «nuovi eroi», come i medici umanitari che si trasformano in politici,

Nella seconda parte del libro — «Non crescete, non moltiplicatevi» — Eugenia Roccella, giornalista-storica di origine radicale e già leader del movimento femminista, focalizza la critica sulle politiche di «pianificazione familiare» e sulle loro evoluzioni verso i cosiddetti «diritti riproduttivi». Sia nel caso del terrore imposto dalla politica del figlio unico in Cina sia nell'idea, anche europea, del diritto di aborto come strumento di controllo demografico, la Roccella sostiene che si tratta di violazioni spesso spaventose dei diritti delle donne,

l’ONU ha riunito per un’audizione di fronte all’assemblea generale una rappresentanza delle 13 mila organizzazioni non governative ad essa collegate. Ma tra le 200 ONG selezionate non ce n’era nessuna pro-vita e pro-famiglia. C’erano invece quelle più attive sul fronte antinatalista, tra cui la International Planned Parenthood Federation, IPPF, e la Women’s Environment and Development Organization, WEDO. Quest’ultima ha fatto circolare una mozione contro i “fondamentalismi culturali e religiosi” che ostacolano i “diritti riproduttivi”.

il parlamento dell’Unione Europea ha approvato con 360 voti a favore, 272 contrari e 20 astenuti una “Risoluzione sulla protezione delle minoranze e le politiche contro la discriminazione”. In essa, la libertà religiosa è indicata come una potenziale minaccia contro la “libera circolazione nell’Unione Europea delle coppie omosessuali sposate o legalmente riconosciute”.

In Italia è uscito un libro che mette a fuoco per la prima volta in modo diretto e documentato questa avversione anticattolica dell’ONU e dell’UE. Il titolo è esplicito: “Contro il cristianesimo.

Nell’introduzione al volume, Roccella e Scaraffia individuano la radice della nuova ideologia nella “separazione fra sessualità e procreazione”. Ne vedono lo sbocco “oltre i confini dell’aborto, nel ritorno strisciante all’eugenetica”. E concludono:

“Più che di un modello di comportamento sessuale diverso, ma concettualmente analogo a quelli che l’hanno preceduto nella storia, si tratta di una vera e propria utopia, perché si fonda sull’idea che gli esseri umani possano trovare la felicità nella realizzazione dei propri desideri sessuali, senza limiti morali, biologici, sociali e relazionali legati alla procreazione.

Un’utopia che ne riecheggia un’altra, di infausta memoria: che la selezione dei nuovi esseri umani possa creare un’umanità migliore, più sana, più bella. “L’imposizione di questa utopia ai paesi del Terzo Mondo sembra costituire lo scopo principale dell’attività di molte organizzazioni internazionali, e condiziona aiuti finanziari e rapporti diplomatici.

la tesi delle organizzazioni dell’ONU secondo cui la famiglia “rappresenta l’istitituzione per eccellenza ove si definisce la subordinazione femminile” e quindi va combattuta e tendenzialmentre smantellata;

l’invenzione e la messa in opera su vasta scala della formula “salute riproduttiva”, secondo cui “il diritto alla vita è riservato solo alle donne, mentre una politica di severo contenimento demografico si oppone alla nascita dei figli”;

il presupposto delle organizzazioni dell’ONU secondo cui l’offerta di aborto e contraccezione è, in qualunque contesto, il primo elemento di emancipazione per le donne e il solo perseguito di fatto: come in Iran, dove i programmi per il controllo della fertilità hanno avuto grande successo ma le donne continuano a essere soggette all’oppressione maschile;

l’impressionante contrasto tra l’impegno antinatalista profuso dalle organizzazioni internazionali nei paesi poveri e l’invarianza nell’ultimo decennio del numero delle donne morte per parto, più di mezzo milione all’anno. i cosiddetti servizi alla salute riproduttiva siano rivolti moltissimo alla prevenzione e interruzione delle gravidanze indesiderate, ma pochissimo alle cure per le gravidanze desiderate.

“Ad ogni appuntamento internazionale si apre una lotta terminologica che a un osservatore estraneo potrebbe apparire incomprensibile. Ma dietro le differenze semantiche si nasconde lo scontro sui concetti. Per esempio, la scomparsa di vocaboli come madre e padre, in favore di definizioni prive di caratterizzazione sessuale, come ‘progetto parentale’ o ‘genitorialità’, e la stessa sostituzione delle parole uomo e donna con un termine neutro, ‘genere’, tendono ad annullare la differenza sessuale e la specificità dei ruoli di madre e padre.

“C’è un progetto culturale molto diffuso, e in parte inconsapevole, che mira a sganciarsi il più possibile dal diritto naturale, fondamento dei diritti umani. Se non c’è più un diritto naturale inalienabile che garantisca l’eguaglianza degli esseri umani (per esempio per quanto riguarda il diritto alla vita e alla libertà personale), tutto diventa contrattabile e relativo.

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La sacralità delle nozze, nelle diverse civiltà, deriva dal riconoscimento alla famiglia di un interesse sociale, quello di garantire la riproduzione naturale, e quindi la coesione del gruppo umano. Fare del matrimonio un qualunque contratto di convivenza, del tutto libero dalle convenzioni e senza alcuna relazione con la storia dell’uomo, vuol dire sradicare qualcosa di molto profondo, di essenziale almeno quanto la biologia, e cioè i significati e i simboli di cui è tessuta la cultura del gruppo umano. Dall’antropologia abbiamo imparato che la rete di parentela, in tutte le sue diverse forme, dà senso allo stare insieme degli uomini, al loro costituirsi in comunità, e che alla base della parentela è, naturalmente, il matrimonio. Tra i Pueblo, i Salish, gli Hopi o i Winnebago, decifrare i rapporti e le strutture di parentela è stato il primo compito di ogni studioso inviato sul campo.

Oggi gli occidentali si divertono a disfarsi del proprio bagaglio storico e simbolico, ma le tribù che un tempo definivamo “primitive” ci osservano con occhi ormai smaliziati. Sono loro, adesso, a studiarci sul campo, senza forse riuscire a interpretare le nostre nuove, stupefacenti usanze.

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Il disegno di destrutturare i valori fondanti delle relazioni sociali primarie, tra uomo e donna, nel diventare madre e padre per educare i figli nella famiglia, nel rispetto e accoglienza reciproca, per trasmettere quei valori con l'esempio e per fornire le origini e la guida di cui i figli hanno bisogno per diventare adulti ha una matrice e uno scopo?

Historically, the right to family planning arose from the pressure of powerful international anti-birth lobbies -- for example, the Rockefeller Foundation -- helped by the West's desire to exercise demographic control over the Third World.

Suffice it to consult the excellent documentation in the book provided by Assuntina Morresi, which demonstrates how much associations of a eugenic vein have influenced U.N. policies, through NGOs such as, for example, the IPPF [International Planned Parenthood Foundation].
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Just some added info - the first IPPF office was housed in the offices of the Eugenics Society. That was in 1952.

In 1977, IPPF was STILL a member of the Eugenics Society. Only then did they begin to feel that it would be best to distance the organization from at least the visible body of the Eugenics movement.

Of course, in reality, the IPPF is still in the eugenics business. Don't believe that? click here. Note the native woman next to the "Making Abortion Safe" link.

The idea of building a better world through genetic selection was very widespread at the start of the 20th century, and enjoyed great credibility even in learned circles. The objective was to prevent the reproduction of human beings regarded as second-class, namely, genetically imperfect, even through coercion.

The adoption of eugenic theories by the Nazi regime discredited the theories and elicited international condemnation. But associations born for this purpose -- among them, precisely, the IPPF -- have survived, changing their language and using, in an astute and careless way after the '70s, some slogans of the women's movement, such as "free choice."

In reality, international conferences on population, that is, on demographic control, have always preceded conferences on women, and have prepared their code words. For example, it was at the Cairo Conference of 1994 on population and development that the old "family planning" was replaced by the new definition of "reproductive rights."

The following year, the definition was uncritically accepted and appropriated by the Women's Conference in Beijing, without changing a comma. Feminism has been, paradoxically, an easy mask to implement control practices that are often savage and violent on women's bodies, especially in Third World countries.

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Da molto tempo non si valorizza in alcun modo la maternità e non si fanno politiche per aiutarla. Di più: il modello emancipazionista per la donna che ancora viene difeso è un modello prettamente maschile, di libertà dal corpo e quindi dalla maternità. È una libertà senza corporeità e senza problemi di cura, di assistenza, di riproduzione ecc

La procreazione assistita non è una terapia. È solo una manipolazione che tende a denaturalizzare la nascita. Il movimento di liberazione della donna ha da sempre tentato di percorrere il cammino inverso: demedicalizzare il più possibile la nascita.

Ci sono due discorsi da fare sull’autodeterminazione e la libertà di scelta. Da una parte è bene sapere che lo slogan delle libertà di scelta, il "free choice", è stato messo pesantemente in discussione dalle femministe proprio nella sua terra d’origine, gli Stati Uniti – così com’è stato messo in discussione da alcuni gruppi la separazione tra sessualità e procreazione – mentre qui continua a prevalere il mito della liberazione femminile. Tutto va rimesso in discussione man mano che i tempi cambiano. A nulla servono totem che non si misurano con i nuovi problemi del tempo. La cosiddetta libertà di scelta è stata messa in discussione perché si è cominciato a capire che da libertà di scelta di "quando e se" essere madri, sta diventando sempre più una libertà di scelta sul figlio: la libertà di "chi" essere madri, attraverso la selezione genetica sul figlio.

Altrove la riflessione sull’eugenetica è molto avanzata. Penso sempre agli Stati Uniti, dove si comincia a mettere in luce il fatto che i passaggi da "l’utero è mio" e "l’embrione è mio" fino a "il bambino è mio", hanno cambiato radicalmente il senso di antichi slogan.

Le femministe, soprattutto quelle storiche, sono sempre state molto caute. Si diceva infatti che l’aborto non è una libertà: è una battaglia per dei fini di libertà.

L’eugenetica è un processo che non si può fermare, una volta entrata nel mercato delle opzioni. Quante donne si prenderanno la responsabilità di mettere al mondo un figlio malato, se sarà possibile vagliarne a livello embrionale la "qualità"? Se diagnosi e selezione embrionale entreranno nel mercato delle opzioni, tutte le donne cominceranno a chiederle. E il tipo di richieste si allargherà tanto quanto si allargheranno le possibilità scientifiche.

Accentuano il discorso della libertà di scelta e sottovalutano la possibilità che essa diventi scelta "di chi" essere madri o padri. Non rendendosi conto, poi, che tutto ciò consegna l’individuo, silenziosamente, nelle mani di nuovi poteri: medici, scientifici o tecnocratici. Si ottiene il totalitarismo genetico o il totalitarismo tecnocratico.

Il pensiero liberale ha la necessità di aggiornarsi, ma di fronte agli scenari contemporanei questo processo può risultare complicato. Da qui la recente apertura di diversi suoi esponenti agli insegnamenti della Chiesa. Che su certe questioni rende evidente a molti, oggi, la sua saggezza.

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Le statistiche demografiche confermano un dato che molti avevano già intuito: la mappa dell’infertilità coincide esattamente con quella della secolarizzazione. I paesi dove il calo delle nascite determinerà nei prossimi anni un crollo della popolazione, infatti, sono quelli che facevano parte dell’ex impero sovietico, dove l’ateismo di Stato ha regnato per generazioni: secondo le proiezioni delle Nazioni Unite tra cinquant’anni la Russia e la Romania avranno perso il 22 % degli abitanti, la Bielorussia il 28 %, la Bulgaria il 34 %, l’Ucraina addirittura il 43 %.

L’evoluzione sociale degli ultimi decenni sembra confermare che la socialdemocrazia laicista, nella quale la famiglia e i figli non servono più perché è lo Stato a prendersi cura dell’individuo “dalla culla alla bara”, abbia il destino segnato perché contiene in sé i germi della propria dissoluzione. Gli attuali sistemi sociali europei, che coniugano statalismo politico e progressismo culturale, sono minati da una contraddizione, perché tendono a distruggere quella larga base demografica necessaria a finanziare gli imponenti apparati assistenziali.

Gli europei secolarizzati che hanno orgogliosamente voltato le spalle al cristianesimo e alla famiglia tradizionale possono anche credere di essere all’avanguardia del progresso umano, ma in verità le culture e gli stili di vita che determinano la sparizione della società in poche generazioni hanno qualcosa di patologico, che contrasta profondamente con le leggi naturali, e vanno considerati fallimentari.

Sono queste le ragioni per cui Mark Steyn, uno dei più corrosivi giornalisti canadesi, ha affermato che le vere persone razionali e ragionevoli del mondo contemporaneo sono i cattolici ferventi, i born again americani, gli ebrei ortodossi e financo i fondamentalisti islamici, mentre gli occidentali secolarizzati seguono un sistema di idee cieco e irrazionale, che li condannerà a scomparire.

Il confronto con l’alta natalità del mondo musulmano, in piena rinascita religiosa e solo marginalmente toccato dalla modernità, è eclatante. Non meno interessante, però, è il paragone con gli Stati Uniti d’America, dove la pratica religiosa è molto più diffusa che in Europa.

Eppure solo trent’anni fa gli Stati Uniti, che erano stati all’avanguardia nella “rivoluzione sessuale”, avevano una natalità inferiore all’Europa: nel 1976 le donne americane avevano in media 1,7 figli, contro i due delle donne europee. A partire dagli anni Ottanta, tuttavia, mentre l’Europa accelerava sulla via della secolarizzazione, negli USA cominciava una inaspettata controrivoluzione conservatrice, che ha portato ad un risveglio religioso e ad una lenta ma costante ripresa della natalità.

L’esistenza di due americhe molto diverse tra loro, quella delle aree abitate in maggioranza dai cristiani born again e dai cattolici osservanti, che alle ultime elezioni hanno votato per Bush, e quella delle aree più laicizzate e simili all’Europa che hanno votato per Kerry, trova conferma anche dal punto di vista demografico. Il cuneo tra queste due americhe sembra destinato ad allargarsi, giacché gli americani maggiormente credenti che abitano gli stati “rossi” (così vengono contrassegnati tradizionalmente gli Stati che votano per il Partito Repubblicano) continuano ad avere più figli degli americani secolarizzati che abitano gli stati “blu” (regno del Partito Democratico).

Lo Stato più liberal d’America, il Vermont, che è rappresentato al Congresso addirittura da un socialista, Bernie Sanders, ha il più basso tasso di natalità: solo 1,57 figli per donna. All’opposto, lo Stato socialmente più conservatore, lo Utah dei mormoni, ha un numero di nascite di 2,71 figli per donna, il più alto del paese.

Guglielmo Piombini

http://web.venet.net/libridelponte/det-articolo.asp?ID=112

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Per Carità, abolite lo stato sociale.


Potrebbe riassumersi anche così
questo articolo/invocazione di Vendran Vuk, del Mises Institute. Che contiene una serie di osservazioni potentissime, capaci di illuminare il carattere eversivo delle realtà più elementari insito nelle politiche statal/welfariste. Le quali «spiazzano - parola dell'Autore - il nostro senso di responsabilità morale» (basterebbe lavorare con dovizia su questa frase, per aprirsi a scenari di giustizia vera).

Se Vuk spiega fra l'altro che «l'agenda dello stato è distruggere la famiglia [...perché] il ruolo della famiglia è pericoloso per la sua sopravvivenza», è certo che il moderno statalismo si è sviluppato sul cardine di una storicamente anormale autoreferenzialità (costruita su teoremi giuridici illogici e irrazionali). E' il movimento della secolarizzazione che impone il monopolio astratto della legge positiva, disponibile, infondata. La legge dettata dal sovrano, ribelle al Padre, ed orgogliosamente estranea alle relazioni naturali (in primo luogo famigliari), destinate a subirla. A sopportarne le drammatiche conseguenze.

Guglielmo Piombini in
questo ottimo articolo illustra bene il legame che unisce socialismo e secolarizzazione, nonché l'impatto di quest'ultima sulla stessa prosecuzione di comunità e gruppi umani. Il carattere antivitale del processo di secolarizzazione è puntualmente registrato dai dati demografici. Così la vecchia Europa, degna erede di quella rivoluzione francese che ha fondato la modernità statuale, sembra destinata ad invecchiarsi sempre più, e pertanto ad esser colonizzata (da quell'Islam "moderato"/strisciante, che molti cominciano a considerare ancor più pericoloso di quello apertamente fondamentalista).

Negli Stati Uniti, meno secolarizzati, perciò complessivamente più giovani e vitali, i dati degli stati e delle città più liberal si avvicinano agli standard europei, a fronte di una ben più prolifica Bible-Belt. Destinata dunque a pesare sempre più, anche politicamente.
L'articolo di Piombini suggerisce l'importanza della questione demografica, in Italia purtroppo ancora del tutto ignorata o affrontata superficialmente.

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Forse andrebbe detto con più onestà che destrutturare, anche simbolicamente, la genitorialità e la nascita non è facile come sembra. Che le resistenze sono profonde, e affondano nel buio remoto della storia, nel corpo e nel cuore degli esseri umani.

Non è tanto la mancanza di un padre biologico conosciuto, credo, a provocare terremoti emotivi, quanto il fantasma dell'assenza di radici carnali, l'angoscia di origini tecnologicamente intercambiabili. È l'appiattimento sul biologismo, la reificazione dell'umano, a inquietare; quell'immagine di un incontro in vitro che ricorda "l'incontro fortuito sopra un tavolo d'autopsia, d'una macchina da cucire e d'un ombrello" di Lautréamont.

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c’è l’idea di una storia che cammina verso una direzione di miglioramento, e di un radioso futuro a cui l’evoluzione scientifica dà un contributo essenziale...

La irrinunciabilità di quei principi, l’esistenza di limiti certi e invalicabili sono, invece, la vera forza del mondo cristiano e il motivo della sua rinnovata capacità di attrazione e di leadership.